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27/06/2014

UDIB: ALLE IMPRESE SERVE UN AIUTO CONCRETO

Pressione fiscale e costi del lavoro e delle materie prime pesano. Le PMI stanno facendo sforzi incredibili: ora occorre la collaborazione di tutti

Questi anni di profonda crisi economica hanno costretto tutte le aziende ad attente e profonde analisi, principalmente incentrate su quelli che sono i costi, fissi e variabili, e sull’efficienza e l’efficacia dei processi, con lo scopo di capire realmente se vi siano ancora i margini per riuscire a uscire in piedi da questo difficile e lungo periodo. Incontrando i soci Udib e tanti altri imprenditori, è molto chiaro che tutte le aziende hanno un filo comune che le lega: la diminuzione continua della marginalità sulle vendite. Le cause di questo continuo e spesso significativo calo sono da ricercare in molteplici fattori concomitanti fra loro. Da una parte la concorrenza, che ormai non è più solo locale, ma globale, sempre più alla ricerca di quote di mercato necessarie non soltanto per crescere, ma anche per poter sopperire al continuo aumento dei costi. Dall’altra, tutta una serie di fattori che impatta fortemente sui conti delle imprese, ma che purtroppo non sono da esse controllabili: faccio riferimento a pressione fiscale, costo del lavoro e costi delle materie prime.

 

Condizioni difficili


Analizzando in modo rapido i dati dell’Italia su questi tre ultimi fattori, il primo aspetto che balza all’occhio è che nel confronto, sia all’interno dei Paesi dell’Unione Europea sia di tanti altri Stati industrializzati extra europei, siamo collocati nella parte bassa della classifica. Un dato tra tutti, pubblicato recentemente dall’Istat, evidenzia che nel 2012 il valore medio del cuneo fiscale e retributivo per i lavoratori dipendenti è stato pari al 49,1% del costo del lavoro. Questo significa che i dipendenti delle imprese italiane hanno ricevuto in media 16.153 euro l’anno, contro un costo complessivo del lavoro, per l’impresa, di 31.719 euro (Fonte Istat). Non occorrono particolari competenze di economia per comprendere la non sostenibilità di questa situazione, soprattutto quando la si va a sommare a una pressione fiscale per le imprese medio piccole che, secondo i dati pubblicati a gennaio 2014 dalla CGIA di Mestre, va dal 53% fino al 63%. A titolo di esempio, questa analisi cita: “…per una piccola impresa con 2 soci e 10 dipendenti, che produce un reddito di 100.000 euro annuo, la pressione fiscale ha raggiunto nel 2013 il 63,4%, per 63.424 euro versati all’Erario pari a +1.022 euro sul 2012, mentre nel 2014 si pagheranno altri 285 euro, arrivando a +2.016 euro rispetto al 2011”. (Fonte, Ufficio studi CGIA Mestre).

 

Scarsa produttività


Leggendo questi dati, ci si chiede dove possa trovare, una piccola - media impresa, le risorse per creare investimenti, innovazione e nuovi posti di lavoro. Altra nota dolente è il costo delle materie prime e dell’energia in particolare, dove le differenze rispetto a tanti Paesi industrializzati sono davvero notevoli. I nostri sono dunque i problemi di uno Stato sempre più in difficoltà, stretto fra tassazione ormai a livelli insostenibili, una burocrazia che complica investimenti e pianificazione e costi sempre più elevati. A questo quadro a tinte molto fosche va aggiunto un altro dato pubblicato anche questo recentemente dall’Oecd sulla produttività per ogni ora lavorata. Lo studio analizza il PIL per ora lavorata e l’Italia si colloca, in maniera piuttosto netta dietro a Stati Uniti, Germania, Francia e Spagna. Nel nostro Paese, un’ora di lavoro del lavoratore medio produce beni o servizi per un valore di circa 37 dollari. Negli Stati Uniti questo dato è di oltre 56 dollari, vale a dire il 50% più alto. Francia e Germania sono attorno ai 50 dollari, circa 35% in più dell’Italia. Anche chi presta la propria opera nelle imprese ha quindi la sua dose di responsabilità e notevoli margini di miglioramento.

 

Serve collaborazione


Credo che in tanti si chiedano come faccia il nostro Paese a sopravvivere. Probabilmente, le ragioni non si devono cercare nei numeri, ma nella grande capacità delle imprese e degli imprenditori italiani, che nel mondo vengono ancora considerati leader in tantissimi settori. È però auspicabile che, vista la consapevolezza comune che a questo basso livello non si possa rimanere, ognuno per quello che gli compete si rimbocchi le maniche, poiché le imprese ormai hanno dato tutto ciò che potevano dare e anche qualcosa in più.

 

Peggio di dieci anni fa

 

Un’analisi che mette bene in luce lo stato di salute dell’economia del nostro Stato lo fornisce uno studio di “Boston Consulting Group”, che è stato aggiornato di recente e che stila una classifica delle principali economie mondiali in base ai costi manifatturieri. Questo indice identifica negli Stati Uniti il "100" di riferimento e tiene in considerazione salari, produttività, costi dell'energia e vede l’Italia a quota “123”. È altrettanto vero che in questa classifica il nostro Paese è in buona compagnia: la Germania è a quota “121” e la Francia a quota “124”, ma il dato significativo è che l’Italia dieci anni fa era a quota “110” e oggi alcuni Paesi, come per esempio la Gran Bretagna, sono a “109”. (Fonte BCG).

 

Massimo Grazia



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